Porti un velo di rame sul viso
che non passa come le gallerie
bruci a macchie simile all’asfalto.
Ti ho spiato dalle tue inferriate strette
immersa nella morte delle mie domande
come gocce che si gettano dal bordo.
Ad ogni silenzio ti scuoti,
dici che sono ripida e pesante
come le scale:
solo salite polverose e fughe mute,
discese astute di lenzuola annodate
ai corpi nudi.
Ma costringi le mie labbra
con la lotta alle tue ciglia
che la migliore sorte è Venere
quando in conchiglia s’offre nuda
senza mai chiedere.