Tuono.

Ticchettio di pioggia,
formicolio di vento,
brusio di foglie,
la leggerezza d’autunno.

Se non fossi quel che sono
sarei la parola tuono.
Tuono che scuote,
che il fulmine accompagna,
tuono che risuona come un’eco nella stanza.

Sono un frastuono innocuo in questa leggerezza d’autunno,
così, se non fossi quel che sono, stanotte sarei la parola tuono.

Se guardo al mio riflesso.

Se guardo al mio riflesso
sfumo
come quando una parola,
a ben pensarci,
perde il senso.

Mi ritrovo che mi mastica la vita,
sudo come una ferita,
piango come clorofilla silenziosa,
mi riaccendo allora a luce più radiosa.

Ringrazio mio padre per la penna sul foglio,
per non avermi mai dato lezioni, ma idee.

Ringrazio mia madre di credermi sempre,
di non avere mai perso negli anni la forza di alzarmi.

A volte, nel bel mezzo di un’altra storia, ritornano.

Quando ti reggi forte
e ti dici -Non devo,
lo farò-.
Quando una notte nera
ti abita dentro
e hai nel ventre
un paese desolato,
quando il tuo riflesso
è un’ospite
indesiderato.

Ho percorso chilometri
a ritroso
dopo averli avanzati.
Ho fatto da sfondo
a mille storie successe troppo presto.
Ho nascosto me stessa in tutti gli angoli
per essere salvata.

Talvolta, abbracciando i miei mali,
le lacrime furono per me dolce succo
nella gola amara,
strozzata,
silenziosa.

Sogni ricorrenti.

Sono psicologicamente instabile e instabilmente convinta che i sogni abbiano un senso.
Se sono sogni ricorrenti ancora di più.
E non che voglia sentirmi Giuseppe il Re dei sogni per una sera, mi accontenterei di essere una che ogni tanto capisce quello che vuole dire, pretesa troppo grande?
Oggi mi sono data un senso, una roba che ho trovato da me, niente di rivelatore, un senso percepito a caso in quei momenti in cui a rigirarsi i pollici sembrerebbe quasi di stare impiegando bene il tempo.
Ora, trovato questo mezzo senso, dovrei anche trovare il modo di spiegarmi.

La bellezza di poter indugiare nell’opportunità che il domani riserva di trovare il Posto per se, il Senso giusto, è una sensazione che mai smetterò di rimpiangere e ricorderò sempre con allegrezza, ma questo è un discorso diverso, il tempo passa.
Il tempo passa. Il tempo passa. Passa. E’ passato.
La bellezza di poter indugiare e l’amarezza di averlo fatto inutilmente.
Io non sono una che si scava dentro in questi casi. Io non ho la minima voglia di capire che ho paura, e ancora meno di scoprire di cosa ho paura.
Ma a volte le paure escono fuori da sole.
Diventano un cucciolo piccolo, a volte anche più di una mano, che, indifeso, non solo ti viene affidato ma SI AFFIDA a te nella speranza che tu possa crescerlo, proteggerlo e amarlo, soprattutto. Lui ti ha scelto. Scegliersi vuol dire un sacco di cose. Quante volte ci capitano le cose? Quante volte ci capitano le persone? Scegliersi è di più.
Forse mi manca quella sensazione, sicuramente mi manca la fiducia necessaria che si trova dentro la parola scelta.
Non ho fiducia negli altri e in me. Ho perso il treno che mi avrebbe portato sulla mia strada, è avanti di molte fermate ormai.
Però è bello sognare ogni notte di sentirsi così, scelta, importante, sensata. Non so spiegarlo meglio.
Però la mattina mi sveglio. Mi sveglio ogni mattina da tutte le mattine, quando dormo.
Mi sveglio ogni mattina e dopo vent’anni mi domando ancora –Che farò?.

Selene.

Abbandonata al davanzale
aspetto un tempo senza tempo
sento come è strano che io senta,
sento come sente il sole
che ha spento la luna,
ancora,
e gira,
un giorno ancora,
tra la tramontana e il maestrale
quando finirà questo vagare?
Ti raggiungerò Selene.
Forse domani?

Domani forse mi terrai le mani?

Selene che mi oscuri quando m’ami
Selene che ancora mi chiami
Selene domani forse mi terrai le mani?

Adeline.

-Ho paura – ti ho detto, con la faccia tra le mani, quasi strozzata dalle altre mille parole che sarebbero volute uscire dopo.
Tu non mi hai chiesto il perché. Tu sapevi già tutto. Allora mi hai stretto soltanto le mani e ci siamo buttati sul tappeto, guardavamo il soffitto bianco e lontano come si guarda una costellazione che non si capisce. -Non pensare neanche per un istante di doverti liberare di te – mi hai detto -Tu hai un dono Adeline, questo tuo non riuscire a guardare il mondo per quello che è… beh non lasciare che la vita con le sue sconfitte te lo porti via. Lo so che tu sogni e poi rimani delusa, lo so che tu stai imparando a tue spese ad avere paura della gente, ma non smettere mai di sognare Adeline. Continua a pensare alla tua casa sulla spiaggia e alle tue parole piantate in giardino, immagina che cresceranno a lungo, robuste come querce, continua a sperare che un giorno nevicheranno soffioni e che se ti disegni un arcobaleno sui piedi potrai sempre portarti dietro la felicità… tu puoi ancora salvarti. Io vedo un tetto bianco e sono felice perché so che tu stai già contando le stelle, io mi lascio andare su questo tappeto pungente perché so che ti sembrerà di stare su di un prato, tu mi stai salvando dal mondo Adeline, tu non sei sbagliata, sei la persona migliore che conosca.-

Così abbiamo passato la notte sul tappeto. E’ stato il campeggio migliore della mia vita.
-Ti sarò sempre accanto quando ti sentirai sbranare dal mondo- mi hai sussurrato sulle labbra e mi hai baciata sul naso. -Grazie- Ti ho stretto più forte e ho ripreso a sognare che potrò sempre perdermi tra le tue braccia, che il tuo abbraccio sarà sempre della mia grandezza, che troveremo sempre un posto speciale insieme dove il mondo non è quello che raccontano, dove tutto è solo, semplicemente, come lo vedo. Sei tu l’arcobaleno che porto con me, anche se non lo sai, sei tu la felicità che talvolta mi sfugge.

Arriverai?

Vorrei gettarmi libera tra la spuma delle onde, vorrei non sentire il reflusso, non dover tornare indietro quando decido che è abbastanza.
E’ un’estate sbagliata. Infilo le dita dei piedi tra la sabbia e guardo a destra dove gli scogli sono il confine tra lo spazio in cui sei con me e lo spazio in cui non so dove sei, e so che non arriverai, e non vorrei che tu arrivassi, ma lo spero. E’ una storia sbagliata.
Ricordo spesso quando ti dicevi dispiaciuto del mio ignorarti prima di conoscerti, e mi ci aggrappo, come quando ci scambiavamo le frasi sui tovagliolini, e quando riuscivamo meglio a leggerci da dentro, e io ero muta, accartocciata nella mia diffidenza e nella mia sofferenza.
Hai trovato poi tutte le parole giuste per i tuoi gesti sbagliati, e le ho conservate per stare meglio, e ho conservato l’immagine del tuo sorriso grande e dei tuoi capelli chiari, i tuoi capelli sottili che cambiano sempre forma e idee, quando ancora potevo starti così vicino da sentirne l’odore, ho conservato le frasi in cui ho scritto dei silenzi che solo tu sai leggermi.
Se tutto questo ricordare avesse la sua scatola la getterei via in un mare senza riflusso.
Ma non esistono scatole nella testa, ne un mare senza riflusso in tutto il mondo.
Oggi cosa scriveresti di me? Quale aggettivo metteresti accanto al mio nome? Con quale frase mi cominceresti? Sarei scandita da versi o sarei una prosa impetuosa? Quale sarebbe l’ultima parola? Quando arriverebbe l’ultima parola?
Mi allontano dalla riva e mi ripiego ancora mille volte su di me. Devo nasconderlo questo mal d’animo, e devo nascondere anche me, prima che sia tardi e che la tua mano stanca o un tuo sguardo distratto arrivi ancora a rovinare tutto, a scombussolarmi lo stomaco, come un’ancora che affonda sempre nel punto giusto.
La mia ultima parola io la conosco già, la mia ultima parola di ogni pagina vuota e di ogni pagina piena, la mia ultima parola malgrado la tua assenza, l’ultima parola che ho nascosto dentro, la mia ultima parola sarà sempre “Arriverai?”.