L’appeso al cornicione (ego)

Sovversivo, ostile alla teoria
del caso, sei esattamente vivo
come dovresti, dato il buon tempo
e la piacevolezza delle sere
d’aprile.

Disperi sennò per la sciatteria
di questo sereno proibitivo,
come dovresti, e non hai uno
di mille volti.

Mai nulla da qui s’esercita
e si avvera. Tu ribelle
senza lotta. Esporti
solo ai piaceri accorti
ti solleva, è melenso.

 

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*

In cucina il lavello
è un acquario
e un mollusco dovrà esserci
che lì ha perso il suo guscio.

L’ho invitato, cara Bauci,
perché niente in questa casa parla
e niente vive. Feroci si agitano
lì fuori gli alberi che non ho piantato:
– li hai risparmiati – diresti,
come quando sorridendo ripulivi
la terra dai resti ammollati di un’aiuola.
Troppa acqua, anche oggi.

Ti attendo, cara Bauci,
e ospito le gioie tempo, solo leggo
gli orologi perché quelli si avverano
e in questa follia più non distinguo
i morsi di fame e per fame
né la sete.

A volte mi piego su me stesso
a investigare il petto, il ventre…
considerarli mi raccapriccia,
ricordare di averli un giorno
solo intravisti sotto le tue mani
è un contorno penoso

così da fuori un poco m’agito
(per l’inesistente spettatore)
moltissimo da dentro sciabordo

non so quali onde
di timore o per timore

e cerco
un oracolo tra i fumi della vasca
che condensi l’ora in cui mi guarderai.

Felice Casorati (1886-1963) Donna vicino al tavolo

Felice Casorati (1886-1963) Donna vicino al tavolo

 

Ed io non so chi va e chi resta

Sono giorni a cui ripenseremo, come ripensiamo a mille altre cose, sempre a casaccio ma per la prima volta con dovizia di particolari.
La mattina alzandomi, nel semibuio e con lentezza, mi capita di sentire il vicino spostare un oggetto, sbattere una porta, rumoreggiare. Inutile dire che non era mai successo prima, o meglio, che probabilmente prima continuava a succedere senza che me ne accorgessi. Adesso invece rimango ad ascoltare una sveglia che non è la mia o la vibrazione del suo cellulare e spesso mi sorprendo a scoprire quanto l’anonimo coinquilino sia bravo a riprodurre suoni che assomigliano a quelli che ho lasciato a casa. Allora richiudo un poco gli occhi e mi sembra di sentire mia sorella far strisciare la porta prima di uscire dalla camera o mia madre, al piano di sotto, rovistare nel disordine di una borsa. Dopo le otto inizio ad ascoltare le voci dei bambini, a volte il pomeriggio qualcuno tiene alto il volume di un video e, dal suono, riconosco il contenuto trash che anche io ho visto poco prima. Una sera ho sentito qualcuno parlare al telefono e dispiacersi -Stasera non trovo la luna, tu la vedi?
Io l’ho vista poco dopo, l’ho scoperta uscire da una nuvola.
Resto con la certezza che ogni sera, sporgendoci un poco dal terrazzo o alla finestra, cerchiamo la stessa luna quasi tutti, come i viaggiatori in nave scrutano il mare cercando la costa quando il viaggio sta per terminare.
La verità è che questo racconto è quasi del tutto inutile, come la sorpresa di sapersi infelici da soli, dal momento che l’eterna presenza di noi in noi stessi è già un’autentica e a volte insopportabile reclusione per la quale pochi hanno cercato giustizia o spiegazione. Per questo non intendo sublimare la solitudine di questi giorni né posso ancora osare pronunciarne il senso, ma ho speranza. In fondo volevo solo scrivere: non mi piace pensare che, citando malamente Montale, tu non ricorderai la casa di questa mia sera, ma potrebbe anche essere che io ti abbia immaginato accanto a me e non mi sia vergognata del marasma che ho fedelmente riprodotto nella stanza. Stavolta è qui ad accoglierti.
Edward Hopper

E. Hopper

Cosmic love

Quando abbiamo pagato la camera
trecento euro di caparra, e nudi
parlavamo dell’amore cosmico
e del profilo storto dentro la cornice
-avrei giurato somigliasse a tua madre-
il vaso con le gerbere era un razzo
nell’oscurità.

L’universo, anche per noi minuscoli,
portava la scala fino a Venere, i pianeti
nelle iridi fino al latteo profumo di coperte
di una casa sola fra i campi di lavanda
con una finestra sul calvo Ventoux
che tanto intensamente
e tanto oltre lo guardava.

Si poteva anche non uscire,
potevi scommettere le tasche
dei jeans mai ripresi dal bracciolo del sofà
per un’altra mensilità: quanta perdita?
quale guadagno?

Noi sedotti, noi promessi alle carezze,
vogliamo raccogliere altri fiori,
perderne i petali, assaggiarne i colori
accordarci al pensiero surreale
di chi non ha paura di restare.

 

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Alexandra Levasseur

 

 

 

Ridipingere

La carta da parati non voleva staccarsi dal muro,
ci siamo detti che dovevamo liberarcene
abbiamo iniziato a grattare più forte.

C’era un cassetto, tra quelli che abbiamo spostato,
con le cartoline


e adesso dove si è cacciato?

Come posso ricordare perché sono qui
senza pensare a dove sono stata, senza dirtelo
a volte. Ma è quando mi scopri arrossire
che confesso i posti da cui ancora, spesso, passo
e poi che sì, poteva andare in maniera diversa,
poteva succedere, credo, che la carta da parati
si liberasse di noi.

Ho un francobollo sulla schiena che mi rispedisce
sul parquet, con il calzino accanto al tuo a litigarci
lo spazio. -Il colore della vernice vorrei somigliasse
alla peonia sul balcone -, -Che fesseria- dici tu.

A volte maledico il fatto di voler raccontare per due.

 

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Andrey Remnev

 

Pale blue

Il caldo della tazza annebbia i pensieri. Lo zenzero gialleggia pallido sull’acqua. Ho un gruzzoletto di margherite tra le mani, tutte impallidite. Quando le raccolgo ai bordi della strada sento in cuore di poter sperare, poi, a poco a poco, si fa vicino il pensiero più triste dei petali che le mie mani condannano a sfiorire. Passa un’auto con un rumore che fa…

Il cielo blu pallido sul cemento. Ho un’immagine di te sopra le lenzuola lavate e rilavate, della tua carnagione che non perde il colore, dell’aria che nella stanza il tuo respiro non stempera. Ti bacio i nei, mi spoglio della penna e del foglio, ti svelo l’errore e ti trattengo in questo paese inventato dentro il quale è domato anche il ricordo e sei un animale che non può farmi male.
Bevi le margherite, raccoglimi.

 

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Arno Rafael Minkkinen

Nodi

 

Quanto sottilmente hai visto
ammatassando fitte fitte
le idee urgentissime sopra,
e sotto le più timide, e sotto sotto…
Tacendo e riprendendoti le ciocche
come curve di un singolo discorso,
dove riporta il tatto, dove arrivi
non oltre la fessura della cruna?
C’è un groviglio da intraprendere.

Quasi a pungerti poi soffocare altri gesti,
non sfilacciare, fare è disfare, ripensaci
e poi insomma…
Ricominciamo da capo.

 

Rumore

Se la notte sussultando i piedi
ti calpesta certamente non puoi
con le dita sui fianchi rovinare
questa forma un poco ingenua
del buio, svelarne più il petto
se  è un frastuono di bassi.

Ti sei fatto vicino a rivedermi
sconvolta dalle ombre, sgomitare
con gli occhi tra spalle e schiene
irrequiete, scombinare
il ricordo di me che hai conservato.
Ma tentare non è più una buona idea
e non ho sentito che una lingua
molle affannarsi nel comporre
un suono, accarezzare la sorpresa
dondolando tra i denti.

Perso per quanto non ci appartiene
per un rumore che ci raccapriccia
ritrova il tuo contorno e torna a letto
non serve ricordare come ci si spiega.

 

 

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Illustrazione di David Alvarez

La libellula

Pelle dopo pelle ricambiare
la  luna è un occhio che s’attarda
all’alba in cielo e sta a guardare
come ci fa sorridere nei giorni
aggiustare un difetto sempre nuovo,
tenere a mente di non domandare:
-Per quale guscio ancora promettere?-

Abbandonato il busto poco oltre
il davanzale, hai mai compreso
quanti muti maestri ci riserva il destino?
Loro ci distinguono. Contro luce
io seguo una saetta verde volare veloce
-ogni incrocio sempre un poco ci colora-
tengo a mente che può spaventare
e non voglio vedere se torna.

 

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Illustrazione di Monica Barengo

Comprendere

Cambiare più niente,
il colore della parete
guardarla dal basso dal fianco
in apnea, cambiare per niente.

Oggi mi sento dormire per terra
conservare un cricri di sorella sulle
leghe a memoria di forma,
una smorfia si sciupa sul viso
che mi piaccia o no

comprendere è materia di sogno.

 

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Illustrazione di Carlos Hache