In cucina il lavello
è un acquario
e un mollusco dovrà esserci
che lì ha perso il suo guscio.
L’ho invitato, cara Bauci,
perché niente in questa casa parla
e niente vive. Feroci si agitano
lì fuori gli alberi che non ho piantato:
– li hai risparmiati – diresti,
come quando sorridendo ripulivi
la terra dai resti ammollati di un’aiuola.
Troppa acqua, anche oggi.
Ti attendo, cara Bauci,
e ospito le gioie tempo, solo leggo
gli orologi perché quelli si avverano
e in questa follia più non distinguo
i morsi di fame e per fame
né la sete.
A volte mi piego su me stesso
a investigare il petto, il ventre…
considerarli mi raccapriccia,
ricordare di averli un giorno
solo intravisti sotto le tue mani
è un contorno penoso
così da fuori un poco m’agito
(per l’inesistente spettatore)
moltissimo da dentro sciabordo
non so quali onde
di timore o per timore
e cerco
un oracolo tra i fumi della vasca
che condensi l’ora in cui mi guarderai.
Felice Casorati (1886-1963) Donna vicino al tavolo