La strada nel bosco

L’erba non falciata
ai lati della strada
un riccio che si rotola
e si spina lì, tanto nascosto.

Il buio oltre il camminamento
coperto dalle parole che hai riposto
-coraggio, luce, libertà!-
nell’esatto tono in cui le pronunciasti
in cui le piansi.

Non facciamoci sorprendere
dal puzzo delle cimici, lo conoscevamo
già senza sentirlo. Ora
è un caldo infernale tra i pini
una voce incollata di resina
che non sa ancora dire.

Le ore passate a non capire,
questo nostro lento movimento
il blu cielo sempre tutto nei suoi occhi
lo scoiattolo che pende dal ramo disperato.
Molte cose hanno cospirato
per questo momento,
ma solo tu hai lasciato che accadesse.

Ho un lumino ad olio, le nocciole
nella tasca, il tuo volto è poco illuminato
gli occhi pressapoco nei guai, poco poco
poco più poco -e se fosse come lo direi?-
più fioco -la verità senza un forse-
più scompare.

 

Anna Pirolli

Illustrazione di Anna Pirolli

:

Mi attorciglio, mi sento parlare,
mi sorprendo le dita tentare di farmi la pelle
io senz’ossa, ho una scossa sottile alla gamba
che tremando da forma alla fossa. Lì

spargo i miei petali

– estate –

quanti sintomi inutili per questo silenzio.

 

sir Anthony Van Dyck detail of Lady Dacre

Sir Anthony Van Dyck, detail of Lady Dacre

 

 

Rumore

Recisa dal caldo impensato
una foglia scricchiolando
dalla siepe arsa se ne va

se neanche il volo è muto
cosa lo sarà? Se la terra secca
non l’assorbe, sta quella sardina
di verde a crepitare crepando
di sole.

 

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Monica Rohan

 

Incarnazione, oppure piccolo miracolo notturno

Ogni cosa dai fianchi alle caviglie
è scivolata, la carne è carne sottotutto.
Quando nel buio ho smesso di arrotolare
i capelli tra le dita, d’immaginare
un lumicino nuovo per quello che ho distrutto
accendere nelle notti tenere le meraviglie
piccole di un corpo, come le ciglia o i nei
così segrete per uno sguardo famelico
che non le intende se non nell’interezza,
quando i miei piedi rabbrividiscono in fondo
alle lenzuola, tutta ancora mi somiglio
ed è come se il naso e la bocca pensassero
e lo stomaco e le ginocchia alla stessa identica idea
poco attendibile, che senz’altro ho inventato,
e quella più e più va incarnandosi e si avvera

e quasi dura

finché l’alba le scintille copre col suo giorno.

 

Sophie Lécuyer, monotype illustrations, 2013

Sophie Lécuyer, monotype illustrations, 2013

Sintomi

Mi misuro col freddo del muro

non accomodo un termometro
su una fronte che non ho.
Dove passa una voce ribolle
un bisticcio di pensieri, è molto caldo
sotto le coperte ma il buio è apiretico.

Fuori da qui il vento ci percuote
corrompe i papaveri, bagna le corolle
il morbo d’ogni corso straripa
e non inghiotte.

 

Egon Schiele, Crescent of houses, 1915.

chissà

L’aria che entra e si consuma nel petto
il dottore ha prescritto lo iodio ma la medicina
è il dirupo, le rocce del molo e la bassa marea
l’attesa dell’ora più esatta per credere

alle voci -vieni a vedere!- e io lascio
sul comodino l’orologio per andare
nuda tra le specie relitte, in un tempo
che non arrugginisce e di sé pure a volte
fantastica. Ma il corpicino già bolso
pieno di bolle è un cadavere

tra le onde. Le sirene dalle bocche saline
e il loro vociare che è il vento del mare, la vergine
che s’alza sulle piume e urla alla compagna
di sedurre e scompigliare di incontrarsi
dove tutto in trasparenza si dissolve
e un riverbero di sole è passato a bruciare le iridi
e sotto le palpebre chiuse una leggenda s’avvera

e chissà

 

Monica Rohan

illustrazione di Monica Rohan

canta gocce

Tamburella la pioggia dove tocca,
il tettuccio, la tana del coniglio,
la madre stretta al figlio, la pelle
che si accorda alle lenzuola

tenta di trattenere il battito
tenacemente la memoria di un suono
ora coperto, un tonfo certo del silenzio
che cola disegnandoci le gocce così
lunghe sui vetri fino a mescolarsi.

Una lingua ticchetta sui denti un verso
tedesco, grottesco, che non sa pronunciare
– niemand bespricht unsern Staub –
e non ti siede accanto e nell’accidente
non ti sfiora. Dietro la finestra un sipario
s’apre di vento, l’applauso tuo per aria

tamburella, canta gocce.

 

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Illustrazione di Stefan Zsaitsits

Bologna-Mosca

– Mi hai insegnato a non conservare l’anello nuziale
con qualunque persona la Vita mi avrebbe sposato!
Iniziare a casaccio dalla fine
e finire ancor prima dell’inizio –

Nel corridoio affollato
Marina sorrideva ai passanti,
ascolta: se arrivi di sabato la gente è già molta
già troppo entusiasta, è tutta per strada
con qualche gioiello di fuori, o una borsa o un colletto
di pizzo, i vestiti migliori,
interamente sfocata nella vodka,
dal merletto al sorriso d’effetto,
corretto su un muretto appiccicoso
l’equilibrio come d’uomo, o di un suo simile, indugia.
Pure un cenerino sta a sentire e ripetere
lusinghe col suo accento!

Marina già sente la risposta che attende
evaporare – Frivolezza
una grande compagnia di sentimenti
nel giorno che festa non è già le sfugge.

 

 

 

Ricordi

Sposta la sedia e trovaci uno spazio stretto
stretto tra i gomiti, accanto ai cassetti di noce,
con la pianta nascosta di un tesoro da cercare.

Tra ricordi
volersi accompagnare nell’impresa
e ad occhi chiusi aperti sullo scrigno
immaginarlo uguale
uguale alle speranze del tuo sorriso
sul cavalletto di una tela bianca.

Era quello il tempo di decidere che fare
con la mano sulla mano tua d’inchiostro
per non sviare gli scarabocchi nei gesti
che sbadatamente arrivavano a toccarsi
a disegnare un sentiero che si perde.
fiesta

Abbarbagliati

Mi spettina un impegno che non ho preso,
si è fermato il tavolino fuori dal bar
e non entra che il fumo, non resta nessuno.

Il cappotto l’ho dimenticato, sento i pensieri
persi che svolazzano rigidi in quest’aria
e abbraccio l’idea che ti sei fatto della sera
e di tutte le farneticazioni, anche nasciture,
di te che alzi gli occhi per scoprire
che siamo più bassi dei lampioni
e che anche milioni di parole lo sono
e almeno la metà non superano
i nostri nasi freddi, le fronti aggrottate
quando solo i silenzi rimangono appesi dove possono
alla manica tirata, al bavero, al feltro del cappello.

È ancora per questo che a volte ci scaldiamo,
come le falene che sulla morte continuano a sbagliare
quando per quella tendono le antenne e s’agitano ancora
e con le iridi d’ali strizzate sempre si battono
per un’anima piccola di luce
che ci acceca.

Non possiamo vedere tutto
ma neanche un poco.

Il_mattino_dopo_il_diluvio

William Turner, Luce e colore. Il mattino dopo il diluvio, 1843.